Lotto No. 610 #


Alessandro Magnasco


Alessandro Magnasco - Dipinti antichi

(Genova 1667 – 1749)
Giuseppe interpreta i sogni,
olio su tela, cm 134 x 177; in cornice

Provenienza:
Comte André Parfait de Bizemont, Orléans;
Marquis de Ganay;
A. Ward-Jackson, Londra, 1979;
asta, Sotheby’s, Londra, 5 luglio 1995, lotto numero 57;
collezione privata europea;

mostre: Leeds Castle, Kent 1980-1995 (come prestito).

Bibliografia:
A. De Bartoli, “Aggiunte al Magnasco Milanese“, in: Arte Cristiana, 1990, pag. 276, n. 739, ill. 11 (come opera autografa di Alessandro Magnasco);
L. Muti e D. De Sarno Prignano, Alessandro Magnasco, 1994, pag. 340, R. 534 (come opera non autografa del Magnasco, valutazione in base ad una fotografia);
catalogo della mostra Alessandro Magnasco 1667–1749, Milano 1996, pag. 168, n. 32, contributo al catalogo di F. Franchini Guelfi (come Alessandro Magnasco).

Secondo Fausta Franchini Guelfi l’opera in esame fu eseguita dalla mano di Alessandro Magnasco, senza la collaborazione di altri pittori come Antonio Francesco Peruzzini o Clemente Spera. Pertanto rappresenta un’importante integrazione del catalogo delle opere del pittore.

Negli interni di un carcere, resi a mo’ di scenografia teatrale, è ambientato un episodio tratto dalla leggenda biblica di Giuseppe. Si può affermare con alquanta certezza che questa composizione è la reminescenza di uno sfondo o di una scenografia in origine creata per la messinscena di un oratorio.

La storia di Giuseppe, che offriva spunti sia alla meditazione devota sia a considerazioni sulla riconoscenza regale, costituì infatti il soggetto di almeno tre "azioni sacre" od oratori cantati a Vienna nella cappella impe­riale, tutti con testi e musiche di au­tori italiani. I più noti - Giuseppe di Apostolo Zeno (1722) e Giuseppe ri­conosciuto di Pietro Metastasio (1733), il primo con la musica di An­tonio Caldara, il secondo musicato da G. Porsile- sono ambedue incen­trati sull'ultima parte della storia dell'eroe biblico, che narra la vicen­da del riconoscimento dei fratelli da parte di Giuseppe divenuto ministro del Faraone; la rappresentazione che qui ci interessa è il Gioseffo che interpreta i sogni con testo poetico di Giovanni Battista Neri e musica di Antonio Caldara, anch'esso eseguito nella cappella imperiale di Vienna per l'imperatore Carlo VI nel 1726. Una copia dell'interessantissimo li­bretto dell'opera, stampato a Vien­na, appartiene alle collezioni della Biblioteca Teatrale della Scala di Mi­lano (TLR.909/1S); la partitura mu­sicale autografa del Caldara è custo­dita nell'Archivio della Gesellschaft der Musikfreunde a Vienna. La Par­te Prima inizia proprio con la scena raffigurata dal Magnasco; e l'incom­bere ossessivo del carcere con le sue connotazioni di sofferenza e di pri­vazione della libertà, è probabilmente in consonanza con l'aria di Giuseppe: "Forse vi turba il ritenere avvinto / fra queste mura il piede ? Ab! vi consoli / il saper, che nel mondo / ogn'uomo è prigionie­ro, / e che l'aver angusto / il suo car­cere, o vasto / non fa che di più do­glia, o minor pena / non abbia ogni mortai la sua catena".

L'oratorio fu con ogni probabilità rappresentato non molto tempo do­po a Milano, prassi consueta per molti spettacoli inaugurati nella ca­pitale asburgica; la presenza dell'al­lestimento scenografico fa supporre che l'opera sia stata rappresentata presso un collegio di religiosi o nel palazzo di un aristocratico (forse lo stesso committente del dipinto?) che seguiva con interesse le novità musicali della corte viennese. In par­ticolare dovevano essere apprezzate a Milano le opere di Antonio Calda­ra (Venezia 1670/1671-Vienna 1736), compositore cesareo dal 1716; mae­stro dell'imperatore Carlo VI che sì dilettava di musica e ne apprezzava la straordinaria versatilità creativa,

Se il dipinto del Magnasco, come Fausta Franchini Guelfi ipotizza, è una documentazione dell'allestimento milanese del Gio­seffo, l'artista ebbe direttamente dal­lo scenografo il bozzetto, sulla trac­cia del quale rappresentare la scena, secondo ì desideri del committente. Non è possibile per ora proporre il nome di uno scenografo; ma il Corpo di guardia reale e l'Anteriore di un serraglio di fiere progettati da Pietro Righini per il Medo rappresentato al Teatro Ducale di Parma nel 1728, e raffigurati a incisione da Jacopo Vezzani e da Martin Engelbrecht (vedi G. Botti, “Pietro Righini apparatore e scenografo a Parma“, in: La Parma in festa. Spettacolarità e teatro nel Ducato di Parma nel Settecento, Modena 1987, tavv. 6/7), possono esse­re accostati, in via di ipotesi, alla sce­nografia della tela del Magnasco, sia per la presenza di archi acuti al cen­tro della scena, sia per la tipologia del carcere nel Serraglio. L'autore della scenografia del Gioseffo che in­terpreta i sogni è, in ogni caso, un al­lievo di Ferdinando Galli Bibiena, come dimostra la "veduta per angolo"; è documentata la presenza di un nutri­to gruppo di scenografi bibieneschi a Milano per tutta la prima metà del Settecento ((S. Zatti, “Scenografi in Lombardia dall’íllusione al vero“, in: Settocento Lombardo, catalogo della mostra, a cura di R. Bossaglia e V. Terraroli, 1991, pag. 441).

Fausta Franchini Guelfi data il dipinto in esame fra il 1726 ed il 1730. Stilisticamente è paragonabile alle opere che il Magnasco eseguì per il convento di Seitenstetten in Austria su incarico del conte Hieronymus Colloredo, reggente austriaco a Milano. Queste ed altre opere del periodo seguente del pittore, ad esempio la parodia del nobile caduto in miseria (Detroit, Institute of Art) e La Sinagoga (Cleveland, Museum of Art) ci inducono a pensare che il pittore partecipasse attivamente ai dibattiti intellettuali dell’epoca, nelle cerchie dell'alta aristocrazia. Nella prima metà del Settecento a Milano, negli ambienti che erano particolarmente propizi ad accogliere le idee dell’Illuminismo provenienti dalla Francia, dall’Austria e dai paesi dell’Europa del nord, si facevano sempre più sentire le proteste contro la corruzione, l’intolleranza religiosa, i preconcetti sociali e l’ignoranza. Si è già detto che il Magnasco, sull’onda di tali sviluppi, si servì verosimilmente di dipinti come quello in esame e di altre scene ambientate in prigioni per denunciare la squalida situazione dei carcerati, i crudeli metodi di tortura e le condizioni miserabili in cui versavano le persone. I quadri di Magnasco come Il trasporto dei carcerati (F. F. Guelfi, Magnasco, 1977, pag. 123, ill. 118) o Scene di tribunale (Kunsthistorisches Museum, Vienna) sono quindi anche una critica sociale, secondo alcuni osservatori.

Qualunque sia il messaggio che sottende le opere del Magnasco, è indubbio che egli è un maestro nella resa di interni dalla grande atmosfera, di frequente animati da figurine, spesso allungate, talvolta – come nel dipinto in questione – vestite di stracci, descritte con pennellata guizzante e nervosa. Lo stile pittorico di Magnasco è squisitamente autonomo. Nel tardo barocco e nel rococò la pennellata sciolta divenne un espediente stilistico impiegato da numerosi altri artisti. Pertanto la sua opera può forse aver influenzato celebri ‘pittori di tocco’ come Gianantonio e Francesco Guardi a Venezia.

Siamo grati a Fausta Franchini Guelfi per averci aiutato a catalogare il dipinto in oggetto.

17.04.2013 - 18:00

Prezzo realizzato: **
EUR 253.330,-
Stima:
EUR 200.000,- a EUR 300.000,-

Alessandro Magnasco


(Genova 1667 – 1749)
Giuseppe interpreta i sogni,
olio su tela, cm 134 x 177; in cornice

Provenienza:
Comte André Parfait de Bizemont, Orléans;
Marquis de Ganay;
A. Ward-Jackson, Londra, 1979;
asta, Sotheby’s, Londra, 5 luglio 1995, lotto numero 57;
collezione privata europea;

mostre: Leeds Castle, Kent 1980-1995 (come prestito).

Bibliografia:
A. De Bartoli, “Aggiunte al Magnasco Milanese“, in: Arte Cristiana, 1990, pag. 276, n. 739, ill. 11 (come opera autografa di Alessandro Magnasco);
L. Muti e D. De Sarno Prignano, Alessandro Magnasco, 1994, pag. 340, R. 534 (come opera non autografa del Magnasco, valutazione in base ad una fotografia);
catalogo della mostra Alessandro Magnasco 1667–1749, Milano 1996, pag. 168, n. 32, contributo al catalogo di F. Franchini Guelfi (come Alessandro Magnasco).

Secondo Fausta Franchini Guelfi l’opera in esame fu eseguita dalla mano di Alessandro Magnasco, senza la collaborazione di altri pittori come Antonio Francesco Peruzzini o Clemente Spera. Pertanto rappresenta un’importante integrazione del catalogo delle opere del pittore.

Negli interni di un carcere, resi a mo’ di scenografia teatrale, è ambientato un episodio tratto dalla leggenda biblica di Giuseppe. Si può affermare con alquanta certezza che questa composizione è la reminescenza di uno sfondo o di una scenografia in origine creata per la messinscena di un oratorio.

La storia di Giuseppe, che offriva spunti sia alla meditazione devota sia a considerazioni sulla riconoscenza regale, costituì infatti il soggetto di almeno tre "azioni sacre" od oratori cantati a Vienna nella cappella impe­riale, tutti con testi e musiche di au­tori italiani. I più noti - Giuseppe di Apostolo Zeno (1722) e Giuseppe ri­conosciuto di Pietro Metastasio (1733), il primo con la musica di An­tonio Caldara, il secondo musicato da G. Porsile- sono ambedue incen­trati sull'ultima parte della storia dell'eroe biblico, che narra la vicen­da del riconoscimento dei fratelli da parte di Giuseppe divenuto ministro del Faraone; la rappresentazione che qui ci interessa è il Gioseffo che interpreta i sogni con testo poetico di Giovanni Battista Neri e musica di Antonio Caldara, anch'esso eseguito nella cappella imperiale di Vienna per l'imperatore Carlo VI nel 1726. Una copia dell'interessantissimo li­bretto dell'opera, stampato a Vien­na, appartiene alle collezioni della Biblioteca Teatrale della Scala di Mi­lano (TLR.909/1S); la partitura mu­sicale autografa del Caldara è custo­dita nell'Archivio della Gesellschaft der Musikfreunde a Vienna. La Par­te Prima inizia proprio con la scena raffigurata dal Magnasco; e l'incom­bere ossessivo del carcere con le sue connotazioni di sofferenza e di pri­vazione della libertà, è probabilmente in consonanza con l'aria di Giuseppe: "Forse vi turba il ritenere avvinto / fra queste mura il piede ? Ab! vi consoli / il saper, che nel mondo / ogn'uomo è prigionie­ro, / e che l'aver angusto / il suo car­cere, o vasto / non fa che di più do­glia, o minor pena / non abbia ogni mortai la sua catena".

L'oratorio fu con ogni probabilità rappresentato non molto tempo do­po a Milano, prassi consueta per molti spettacoli inaugurati nella ca­pitale asburgica; la presenza dell'al­lestimento scenografico fa supporre che l'opera sia stata rappresentata presso un collegio di religiosi o nel palazzo di un aristocratico (forse lo stesso committente del dipinto?) che seguiva con interesse le novità musicali della corte viennese. In par­ticolare dovevano essere apprezzate a Milano le opere di Antonio Calda­ra (Venezia 1670/1671-Vienna 1736), compositore cesareo dal 1716; mae­stro dell'imperatore Carlo VI che sì dilettava di musica e ne apprezzava la straordinaria versatilità creativa,

Se il dipinto del Magnasco, come Fausta Franchini Guelfi ipotizza, è una documentazione dell'allestimento milanese del Gio­seffo, l'artista ebbe direttamente dal­lo scenografo il bozzetto, sulla trac­cia del quale rappresentare la scena, secondo ì desideri del committente. Non è possibile per ora proporre il nome di uno scenografo; ma il Corpo di guardia reale e l'Anteriore di un serraglio di fiere progettati da Pietro Righini per il Medo rappresentato al Teatro Ducale di Parma nel 1728, e raffigurati a incisione da Jacopo Vezzani e da Martin Engelbrecht (vedi G. Botti, “Pietro Righini apparatore e scenografo a Parma“, in: La Parma in festa. Spettacolarità e teatro nel Ducato di Parma nel Settecento, Modena 1987, tavv. 6/7), possono esse­re accostati, in via di ipotesi, alla sce­nografia della tela del Magnasco, sia per la presenza di archi acuti al cen­tro della scena, sia per la tipologia del carcere nel Serraglio. L'autore della scenografia del Gioseffo che in­terpreta i sogni è, in ogni caso, un al­lievo di Ferdinando Galli Bibiena, come dimostra la "veduta per angolo"; è documentata la presenza di un nutri­to gruppo di scenografi bibieneschi a Milano per tutta la prima metà del Settecento ((S. Zatti, “Scenografi in Lombardia dall’íllusione al vero“, in: Settocento Lombardo, catalogo della mostra, a cura di R. Bossaglia e V. Terraroli, 1991, pag. 441).

Fausta Franchini Guelfi data il dipinto in esame fra il 1726 ed il 1730. Stilisticamente è paragonabile alle opere che il Magnasco eseguì per il convento di Seitenstetten in Austria su incarico del conte Hieronymus Colloredo, reggente austriaco a Milano. Queste ed altre opere del periodo seguente del pittore, ad esempio la parodia del nobile caduto in miseria (Detroit, Institute of Art) e La Sinagoga (Cleveland, Museum of Art) ci inducono a pensare che il pittore partecipasse attivamente ai dibattiti intellettuali dell’epoca, nelle cerchie dell'alta aristocrazia. Nella prima metà del Settecento a Milano, negli ambienti che erano particolarmente propizi ad accogliere le idee dell’Illuminismo provenienti dalla Francia, dall’Austria e dai paesi dell’Europa del nord, si facevano sempre più sentire le proteste contro la corruzione, l’intolleranza religiosa, i preconcetti sociali e l’ignoranza. Si è già detto che il Magnasco, sull’onda di tali sviluppi, si servì verosimilmente di dipinti come quello in esame e di altre scene ambientate in prigioni per denunciare la squalida situazione dei carcerati, i crudeli metodi di tortura e le condizioni miserabili in cui versavano le persone. I quadri di Magnasco come Il trasporto dei carcerati (F. F. Guelfi, Magnasco, 1977, pag. 123, ill. 118) o Scene di tribunale (Kunsthistorisches Museum, Vienna) sono quindi anche una critica sociale, secondo alcuni osservatori.

Qualunque sia il messaggio che sottende le opere del Magnasco, è indubbio che egli è un maestro nella resa di interni dalla grande atmosfera, di frequente animati da figurine, spesso allungate, talvolta – come nel dipinto in questione – vestite di stracci, descritte con pennellata guizzante e nervosa. Lo stile pittorico di Magnasco è squisitamente autonomo. Nel tardo barocco e nel rococò la pennellata sciolta divenne un espediente stilistico impiegato da numerosi altri artisti. Pertanto la sua opera può forse aver influenzato celebri ‘pittori di tocco’ come Gianantonio e Francesco Guardi a Venezia.

Siamo grati a Fausta Franchini Guelfi per averci aiutato a catalogare il dipinto in oggetto.


Hotline dell'acquirente lun-ven: 10.00 - 17.00
old.masters@dorotheum.at

+43 1 515 60 403
Asta: Dipinti antichi
Tipo d'asta: Asta in sala
Data: 17.04.2013 - 18:00
Luogo dell'asta: Vienna | Palais Dorotheum
Esposizione: 06.04. - 17.04.2013


** Prezzo d’acquisto comprensivo dei diritti d’asta acquirente e IVA(Paese di consegna Austria)

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