Lotto No. 74


Giovanni Francesco Barbieri, il Guercino


(Cento 1591 – Bologna 1666) Rinaldo trattiene Armida che vuole uccidersi con una freccia, (1664) olio su tela, cm 113,5 x 153,5, in cornice

Provenienza:
Ugucione (Odoccione) Pepoli, 1664
collezione Girolamo Manfrin, Venezia, ca. 1795–1897
venduto all’asta: Giulio Sambone, Milano 1897
collezione privata europea

Bibliografia: G. Nicoletti, Pinacoteca Manfrin a Venezia, Venezia 1872, p. 23, n. 103 (come Guercino). Catalogo della Galleria Manfrin. Quadri di celebri autori italiani e olandesi, Milano 1897, p. 27 n. 38 (asta Giulio Sambon, Milano, come Guercino). B. Ghelfi, Il libro dei conti del Guercino, 1629–1666, Bologna 1997, p. 197, n. 587.

Questo magnifico dipinto a mezza figura di Guercino, scoperto di recente, raffigura Rinaldo che trattiene Armida dal suicidarsi trafiggendosi il corpo con una freccia. Si tratta dell’ultimo dipinto del Guercino di cui si abbia notizia con un soggetto secolare, e in quanto tale rappresenta un’aggiunta fondamentale alla sua opera. Gli amanti Rinaldo e Armida sono i protagonisti della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso (1544–1595), poema epico che idealizzava la prima crociata. Rinaldo è un principe cristiano mentre Armida è una maga inviata da Satana, alleato con i Saraceni, per sventare i piani dei crociati con le sue magie. La tela rappresenta l’apice della lunga e fruttuosa attività del Guercino come pittore di storie secolari, carriera iniziata una cinquantina d’anni prima, nel 1615–17, con i suoi affreschi di Casa Pannini, piccola villa di campagna fuori Cento. Per coincidenza, una delle stanze di Casa Pannini era affrescata con le storie di Rinaldo e Armida, con la penultima scena che raffigura Rinaldo che trattiene Armida, ossia il soggetto del dipinto in questione (1). Questo ciclo di pannelli è stato staccato ed è oggi conservato nella Pinacoteca Civica di Cento. La tela di recente scoperta “Rinaldo che trattiene Armida” è menzionata nel libro contabile del Guercino in data 24 ottobre,1664, con le seguenti parole: ‘Dal Ill: mo Sig: r Co: odoccione Peppoli si e auto per il quadro di Rinaldo e Armida Ducatoni Cento. Che fanno L 500 - che sono Scudi 125’(2). All’incirca alla stessa epoca il conte Pepoli aveva ordinato un dipinto di ‘puttini’, il che spiega un’altra possibile menzione del dipinto di Guercino fatta dal suo biografo, il conte Carlo Cesare Malvasia, in riferimento al 1664. Malvasia riferisce che l’artista si accingeva a dipingere: ‘Diverse figure per li signori Pepoli, e mezze figure, e puttini’, il che potrebbe includere Rinaldo e Armida (3). Il dipinto è stato a lungo ritenuto perduto, e la sua riscoperta è di grande interesse per la comprensione stilistica degli ultimi anni del Guercino. Il Rinaldo che trattiene Armida rivela una tale precisione nel disegno ed una tale padronanza pittorica, da rendere difficile credere che l’artista avesse già 73 anni quando eseguì la tela. Nonostante l’età avanzata e una grave malattia che lo aveva colpito circa tre anni prima, alla quale secondo il Malvasia era sopravvissuto per miracolo, la qualità di questa nuova tela è altrettanto elevata quanto nelle migliori opere della maturità del Guercino (4). In termini di concezione figurativa, luminismo, colorismo e pennellata, il quadro che più le si avvicina nell’esecuzione è la grande pala d’altare con San Tommaso d’Aquino, dipinta nel 1662–63 per S. Domenico a Bologna, e tuttora in loco (5). Qui si possono ritrovare alcune interessanti analogie con Rinaldo che trattiene Armida, ad esempio nella posizione della testa di San Domenico e nell’espressione del suo volto e in quello di Armida stessa. Inoltre alcuni degli angeli accompagnanti nella pala di San Tommaso hanno le membra morbide e allungate come le braccia lunghe e tese di Armida. In entrambe le tele le pieghe del drappeggio non sono così profonde come nelle vesti indossate dalle figure dipinte dal Guercino nel terzo e nel quarto decennio del Seicento, spesso rischiarate da un luminismo drammatico, ma sono invece leggermente appiattite e semplificate, sino a divenire disegni quasi astratti. La tela di Rinaldo che trattiene Armida era concepita come quadro da pinacoteca, con l’intento di catturare gli sguardi. In contrasto con le superfici dal luminismo uniforme e dalle ombreggiature pastello smorzate che si ritrovano frequenti nelle tarde pitture religiose del Guercino, la drammaticità del tentato suicidio di Armida viene qui esaltata dallo sfondo cupo. Nel velare l’espressione degli occhi di Rinaldo con l’ombra gettata dalla visiera del suo elmo, egli costringe l’osservatore a contemplare il volto tormentato di Armida, la sua figura pallida sospinta in avanti dalla struttura compositiva e stagliantesi sull’oscurità circostante. Ma una sorpresa particolarmente gradevole che ci offre la tela riscoperta è la grandiosa bravura nell’esecuzione di alcuni dettagli. Ad esempio, Guercino trionfa con superba maestria in sfide pittoriche quali l’elmetto lucente di Rinaldo coperto di piume, o le armi che Armida ha posato in un angolo, che comprendono la faretra e le frecce (manca evidentemente l’arco), la spada e l’armatura, il tutto ammassato a formare un trofeo d’armi, per così dire, in basso a destra nel quadro. Come già menzionato, una delle stanze di Casa Pannini, la Camera della Venere, era in origine decorata con nove affreschi delle storie di Rinaldo ed Armida, oggi nella Pinacoteca Civica di Cento. Nel quadro del Guercino già Casa Pannini con Rinaldo che trattiene Armida, i due protagonisti sono raffigurati a figura intera in un paesaggio aperto, con Rinaldo che neutralizza il gesto autodistruttivo di Armida avvicinandosi a lei alle spalle e trattenendole l’avambraccio destro con la mano destra.
La faretra con le frecce e l’arco giacciono a terra ai piedi di Armida. Nella tela in oggetto Rinaldo è in piedi accanto ad Armida per sventare le sue terribili intenzioni. Ma nonostante tali differenze fra le due maniere di trattare il soggetto - non lo dimentichiamo, fra le due intercorrono quasi cinquant’anni - ci sono alcune interessanti similitudini, in particolare nella posa e nel luminismo di Armida. Anche nell’affresco giovanile Armida inclina la testa verso destra con gesto civettuolo, e tende le braccia di lato come per spiccare il volo. Indossa inoltre un abito simile con la vita alta, annodato con una sciarpa. Un’altra analogia con il suo pendant tardivo sta nel fatto che Armida è illuminata dalla sinistra, per cui la metà destra del corpo e del volto è immersa nell’ombra. Si conservano due bozzetti preparatori del Guercino per la tarda composizione “Rinaldo che trattiene Armida”, il primo assai più evidentemente legato al quadro riscoperto di quanto non lo sia il secondo. Il primo bozzetto, a penna e inchiostro, si trova nella Christ Church Picture Gallery di Oxford (fig. 1), ed era stato dapprima messo in collegamento da Denis Mahon, Massimo Pulini, ed altri (6) con una versione della scuola di Guercino di Palazzo Montecitorio, Roma (in deposito presso il Museo di Capodimonte, Napoli), basata sul dipinto ancora perduto del Guercino. E’ tipico degli studi a penna possenti, dal tratto rapido, dell’opera tarda del Guercino. E’ interessante notare che il disegno conservato a Christ Church mostra i personaggi quasi a figura intera, con la metà superiore del corpo di Armida ignuda, dal che si evincerebbe che Pepoli potrebbe dapprima aver commissionato al Guercino delle tele a figura intera, ma che tale richiesta sarebbe stata in seguito respinta del maestro per motivi di salute. Come nella tela finita, Rinaldo è in piedi accanto ad Armida nello stesso piano, quasi come in una danza, e trattiene l’impetuoso gesto di Armida che vuole ferirsi, e nota bene, lo fa con entrambe le braccia, come nel dipinto. Ovviamente il trattenere il gesto di lei è l’apice letterario del poema: ‘già la fera punta al petto stende‘. Benché indubbiamente opera del Guercino, è meno evidente il collegamento diretto fra la tela riscoperta e un secondo disegno in gessetto rosso conservato alla Pinacoteca di Brera, Milano (fig. 2), che era stato dapprima identificato con uno studio della tela perduta da Denis Mahon e Prisco Bagni (7). Nel disegno di Brera, Rinaldo ferma l’avambraccio di Armida con una sola mano, per cui il suo braccio si trova sotto quello di Armida e non sopra. Ella piega il braccio sinistro e se lo poggia in vita, piuttosto che cercare di afferrare con la sinistra le armi dietro di lei. Questi due tratti si ritrovano nella tela di Roma, che fu assai probabilmente eseguita, con la supervisione del Guercino, contemporaneamente alla realizzazione della tela sullo stesso soggetto ad opera del maestro.

Ringraziamo il prof. Nicolas Turner per aver caldeggiato senza riserve l’attribuzione a Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino, e per aver aiutato a catalogare il dipinto in oggetto. Provenienza: nel 1664 Ugucione (Odoccione) Pepoli pagò Guercino per un dipinto con Rinaldo e Armida (libro contabile del Guercino, 24 ottobre 1664 ‘Dal Ill: mo Sig: r Co: Odoccione Peppoli si e auto per il quadro di Rinaldo e Armida Ducatoni Cento. Che fanno L 500 - che sono Scudi 125’) che probabilmente restò a Bologna finché non fu acquistato da Girolamo Manfrin alla fine del Settecento. All’incirca tra il 1795 ed il 1897 il dipinto fece parte della collezione Manfrin, Venezia (il timbro del collezionista figurava sul retro della tela reintelata). Girolamo Manfrin (Zara, 1742 -Venezia, 1801) acquistò il dipinto a Bologna prima del 1801 (anno della sua morte) ma sicuramente dopo il 1794, poiché nel 1794 il quadro non compare nel catalogo della sua collezione. E’ noto in base alla corrispondenza epistolare che Girolamo Manfrin era in contatto con il mercante d’arte bolognese Giovanni Maria Sasso (1735 ca - 1803) che lo consigliava in merito ai quadri appartenenti a collezioni private bolognesi che egli avrebbe potuto acquistare. Il dipinto in oggetto è incluso nell'inventario delle collezioni del 1872 redatto da Nicoletti, e vi è descritto come ‘Gio. Francesco Barbieri, detto il Guercino da Cento: Rinaldo che trattiene il braccio ad Armida, mentre questa sta per trafiggersi il seno denudato con un dardo. Mezze figure grandi al vero’. La celebre collezione Manfrin si trovava a Palazzo Priuli Manfrin a Cannaregio, Venezia, e conteneva capolavori di Tiziano, Giorgione, Jacopo Bassano e Tintoretto. Girolamo Manfrin fu descritto dal mercante d’arte Giovanni Antonio Armano come ‘l’unico che spenda in belle arti a Venezia’ (8). Manfrin fece fortuna commerciando tabacco e fu nominato marchese da Pio VII nel 1801. Nel 1788 acquistò il palazzo veneziano della famiglia Priuli per alloggiarvi la sua crescente collezione d’arte, ed inaugurò una galleria che nel 1806 Moschini così descriveva: ’dè più sperti pennelli, incominciando dà pittori primi ed a nostri giorni discendendo; ed era di lui pensiero, se la morte non lo avesse troppo presto mietuto, di offerire di mano in mano tele de diversi tempi e delle diverse scuole, perchè vi si potessero a un colpo d’occhio riconoscere gli scapiti e i vantaggi, che nelle varie età, ebbe quest’arte’ (9). Nel 1897 il mercante d’arte Giulio Sambon organizzò un’asta a Milano per vendere parte della collezione Manfrin. Il dipinto fa parte del catalogo della vendita come Guercino ‘Rinaldo trattiene il braccio ad Armida mentre questa sta per trafiggersi con un dardo’ (10).

(1) P. Bagni, Guercino a Cento, Le decorazioni di Casa Pannini, Bologna, 1984, p. 164, fig. 129. Per un dibattito generale della decorazione di questa camera, vedi pp. 141 e sgg. (2). B. Ghelfi, Il libro dei conti del Guercino, 1629–1666, Bologna, 1997, p. 197, no. 587. (3) C. C. Malvasia, Felsina Pittrice, Vite dei Pittori Bolognesi, Bologna, 1841, II, p. 272. (4) Malvasia, 1841, II, p. 271 ricorda che nel novembre del 1661 il pittore: ‘fu sovrapreso da un grandissimo mal di punta, che stette quasi per morire, ma con l’aiuto di molte cavate di sangue si riebbe” (5) L. Salerno, I dipinti del Guercino, Roma, 1988, p. 402, no. 342. (6) Oxford: Christ Church Picture Gallery: inv. no. 0578; penna e inchiostro marrone. 235 x 192 (J. Byam Shaw, Drawings by Old Masters at Christ Church, Oxford, Oxford, 1976, I, p. 261, repr. II, fig. 602). Cfr. inoltre D. Mahon, a cura di, Guercino, Poesia e Sentimento nella Pittura del ‘600, catalogo della mostra, Palazzo Reale, Milano, settembre 2003 - gennaio 2004, p. 236, al no. 78. (7) P. Bagni, Disegni emiliani dei secoli XVII ? XVIII della Pinacoteca di Brera, a cura di Daniele Pescarmona, Milano 1995, no. 24, p. 109, inv. no.15; gessetto rosso; mm 200 x 245. (8) L. Borean, Il caso Manfrin in Il collezionismo d’arte a Venezia. Il Settecento, a cura di L. Borean e S. Mason, Venezia 2009, pp. 193–216. (9) G. Moschini, Della letteratura veneziana del secolo XVIII fino ai nostri giorni, Venezia 1806–1808, vol. 2, 1806, p. 107. (10) Catalogo della Galleria Manfrin. Quadri di celebri autori italiani e olandesi, Milano 1897 (Sale Giulio Sambon, Milano, come Guercino), p. 27 n. 38.

Provenienza: Ugucione (Odoccione) Pepoli, 1664; collezione Girolamo Manfrin, Venezia, ca. 1795–1897; venduto all’asta: Giulio Sambone, Milano 1897; collezione privata europea, Bibliografia: G. Nicoletti, Pinacoteca Manfrin a Venezia, Venezia 1872, p.

Esperto: Mark MacDonnell Mark MacDonnell
+43 1 515 60 403

mark.macdonnell@dorotheum.at

21.04.2010 - 18:00

Prezzo realizzato: **
EUR 1.042.300,-
Stima:
EUR 400.000,- a EUR 600.000,-

Giovanni Francesco Barbieri, il Guercino


(Cento 1591 – Bologna 1666) Rinaldo trattiene Armida che vuole uccidersi con una freccia, (1664) olio su tela, cm 113,5 x 153,5, in cornice

Provenienza:
Ugucione (Odoccione) Pepoli, 1664
collezione Girolamo Manfrin, Venezia, ca. 1795–1897
venduto all’asta: Giulio Sambone, Milano 1897
collezione privata europea

Bibliografia: G. Nicoletti, Pinacoteca Manfrin a Venezia, Venezia 1872, p. 23, n. 103 (come Guercino). Catalogo della Galleria Manfrin. Quadri di celebri autori italiani e olandesi, Milano 1897, p. 27 n. 38 (asta Giulio Sambon, Milano, come Guercino). B. Ghelfi, Il libro dei conti del Guercino, 1629–1666, Bologna 1997, p. 197, n. 587.

Questo magnifico dipinto a mezza figura di Guercino, scoperto di recente, raffigura Rinaldo che trattiene Armida dal suicidarsi trafiggendosi il corpo con una freccia. Si tratta dell’ultimo dipinto del Guercino di cui si abbia notizia con un soggetto secolare, e in quanto tale rappresenta un’aggiunta fondamentale alla sua opera. Gli amanti Rinaldo e Armida sono i protagonisti della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso (1544–1595), poema epico che idealizzava la prima crociata. Rinaldo è un principe cristiano mentre Armida è una maga inviata da Satana, alleato con i Saraceni, per sventare i piani dei crociati con le sue magie. La tela rappresenta l’apice della lunga e fruttuosa attività del Guercino come pittore di storie secolari, carriera iniziata una cinquantina d’anni prima, nel 1615–17, con i suoi affreschi di Casa Pannini, piccola villa di campagna fuori Cento. Per coincidenza, una delle stanze di Casa Pannini era affrescata con le storie di Rinaldo e Armida, con la penultima scena che raffigura Rinaldo che trattiene Armida, ossia il soggetto del dipinto in questione (1). Questo ciclo di pannelli è stato staccato ed è oggi conservato nella Pinacoteca Civica di Cento. La tela di recente scoperta “Rinaldo che trattiene Armida” è menzionata nel libro contabile del Guercino in data 24 ottobre,1664, con le seguenti parole: ‘Dal Ill: mo Sig: r Co: odoccione Peppoli si e auto per il quadro di Rinaldo e Armida Ducatoni Cento. Che fanno L 500 - che sono Scudi 125’(2). All’incirca alla stessa epoca il conte Pepoli aveva ordinato un dipinto di ‘puttini’, il che spiega un’altra possibile menzione del dipinto di Guercino fatta dal suo biografo, il conte Carlo Cesare Malvasia, in riferimento al 1664. Malvasia riferisce che l’artista si accingeva a dipingere: ‘Diverse figure per li signori Pepoli, e mezze figure, e puttini’, il che potrebbe includere Rinaldo e Armida (3). Il dipinto è stato a lungo ritenuto perduto, e la sua riscoperta è di grande interesse per la comprensione stilistica degli ultimi anni del Guercino. Il Rinaldo che trattiene Armida rivela una tale precisione nel disegno ed una tale padronanza pittorica, da rendere difficile credere che l’artista avesse già 73 anni quando eseguì la tela. Nonostante l’età avanzata e una grave malattia che lo aveva colpito circa tre anni prima, alla quale secondo il Malvasia era sopravvissuto per miracolo, la qualità di questa nuova tela è altrettanto elevata quanto nelle migliori opere della maturità del Guercino (4). In termini di concezione figurativa, luminismo, colorismo e pennellata, il quadro che più le si avvicina nell’esecuzione è la grande pala d’altare con San Tommaso d’Aquino, dipinta nel 1662–63 per S. Domenico a Bologna, e tuttora in loco (5). Qui si possono ritrovare alcune interessanti analogie con Rinaldo che trattiene Armida, ad esempio nella posizione della testa di San Domenico e nell’espressione del suo volto e in quello di Armida stessa. Inoltre alcuni degli angeli accompagnanti nella pala di San Tommaso hanno le membra morbide e allungate come le braccia lunghe e tese di Armida. In entrambe le tele le pieghe del drappeggio non sono così profonde come nelle vesti indossate dalle figure dipinte dal Guercino nel terzo e nel quarto decennio del Seicento, spesso rischiarate da un luminismo drammatico, ma sono invece leggermente appiattite e semplificate, sino a divenire disegni quasi astratti. La tela di Rinaldo che trattiene Armida era concepita come quadro da pinacoteca, con l’intento di catturare gli sguardi. In contrasto con le superfici dal luminismo uniforme e dalle ombreggiature pastello smorzate che si ritrovano frequenti nelle tarde pitture religiose del Guercino, la drammaticità del tentato suicidio di Armida viene qui esaltata dallo sfondo cupo. Nel velare l’espressione degli occhi di Rinaldo con l’ombra gettata dalla visiera del suo elmo, egli costringe l’osservatore a contemplare il volto tormentato di Armida, la sua figura pallida sospinta in avanti dalla struttura compositiva e stagliantesi sull’oscurità circostante. Ma una sorpresa particolarmente gradevole che ci offre la tela riscoperta è la grandiosa bravura nell’esecuzione di alcuni dettagli. Ad esempio, Guercino trionfa con superba maestria in sfide pittoriche quali l’elmetto lucente di Rinaldo coperto di piume, o le armi che Armida ha posato in un angolo, che comprendono la faretra e le frecce (manca evidentemente l’arco), la spada e l’armatura, il tutto ammassato a formare un trofeo d’armi, per così dire, in basso a destra nel quadro. Come già menzionato, una delle stanze di Casa Pannini, la Camera della Venere, era in origine decorata con nove affreschi delle storie di Rinaldo ed Armida, oggi nella Pinacoteca Civica di Cento. Nel quadro del Guercino già Casa Pannini con Rinaldo che trattiene Armida, i due protagonisti sono raffigurati a figura intera in un paesaggio aperto, con Rinaldo che neutralizza il gesto autodistruttivo di Armida avvicinandosi a lei alle spalle e trattenendole l’avambraccio destro con la mano destra.
La faretra con le frecce e l’arco giacciono a terra ai piedi di Armida. Nella tela in oggetto Rinaldo è in piedi accanto ad Armida per sventare le sue terribili intenzioni. Ma nonostante tali differenze fra le due maniere di trattare il soggetto - non lo dimentichiamo, fra le due intercorrono quasi cinquant’anni - ci sono alcune interessanti similitudini, in particolare nella posa e nel luminismo di Armida. Anche nell’affresco giovanile Armida inclina la testa verso destra con gesto civettuolo, e tende le braccia di lato come per spiccare il volo. Indossa inoltre un abito simile con la vita alta, annodato con una sciarpa. Un’altra analogia con il suo pendant tardivo sta nel fatto che Armida è illuminata dalla sinistra, per cui la metà destra del corpo e del volto è immersa nell’ombra. Si conservano due bozzetti preparatori del Guercino per la tarda composizione “Rinaldo che trattiene Armida”, il primo assai più evidentemente legato al quadro riscoperto di quanto non lo sia il secondo. Il primo bozzetto, a penna e inchiostro, si trova nella Christ Church Picture Gallery di Oxford (fig. 1), ed era stato dapprima messo in collegamento da Denis Mahon, Massimo Pulini, ed altri (6) con una versione della scuola di Guercino di Palazzo Montecitorio, Roma (in deposito presso il Museo di Capodimonte, Napoli), basata sul dipinto ancora perduto del Guercino. E’ tipico degli studi a penna possenti, dal tratto rapido, dell’opera tarda del Guercino. E’ interessante notare che il disegno conservato a Christ Church mostra i personaggi quasi a figura intera, con la metà superiore del corpo di Armida ignuda, dal che si evincerebbe che Pepoli potrebbe dapprima aver commissionato al Guercino delle tele a figura intera, ma che tale richiesta sarebbe stata in seguito respinta del maestro per motivi di salute. Come nella tela finita, Rinaldo è in piedi accanto ad Armida nello stesso piano, quasi come in una danza, e trattiene l’impetuoso gesto di Armida che vuole ferirsi, e nota bene, lo fa con entrambe le braccia, come nel dipinto. Ovviamente il trattenere il gesto di lei è l’apice letterario del poema: ‘già la fera punta al petto stende‘. Benché indubbiamente opera del Guercino, è meno evidente il collegamento diretto fra la tela riscoperta e un secondo disegno in gessetto rosso conservato alla Pinacoteca di Brera, Milano (fig. 2), che era stato dapprima identificato con uno studio della tela perduta da Denis Mahon e Prisco Bagni (7). Nel disegno di Brera, Rinaldo ferma l’avambraccio di Armida con una sola mano, per cui il suo braccio si trova sotto quello di Armida e non sopra. Ella piega il braccio sinistro e se lo poggia in vita, piuttosto che cercare di afferrare con la sinistra le armi dietro di lei. Questi due tratti si ritrovano nella tela di Roma, che fu assai probabilmente eseguita, con la supervisione del Guercino, contemporaneamente alla realizzazione della tela sullo stesso soggetto ad opera del maestro.

Ringraziamo il prof. Nicolas Turner per aver caldeggiato senza riserve l’attribuzione a Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino, e per aver aiutato a catalogare il dipinto in oggetto. Provenienza: nel 1664 Ugucione (Odoccione) Pepoli pagò Guercino per un dipinto con Rinaldo e Armida (libro contabile del Guercino, 24 ottobre 1664 ‘Dal Ill: mo Sig: r Co: Odoccione Peppoli si e auto per il quadro di Rinaldo e Armida Ducatoni Cento. Che fanno L 500 - che sono Scudi 125’) che probabilmente restò a Bologna finché non fu acquistato da Girolamo Manfrin alla fine del Settecento. All’incirca tra il 1795 ed il 1897 il dipinto fece parte della collezione Manfrin, Venezia (il timbro del collezionista figurava sul retro della tela reintelata). Girolamo Manfrin (Zara, 1742 -Venezia, 1801) acquistò il dipinto a Bologna prima del 1801 (anno della sua morte) ma sicuramente dopo il 1794, poiché nel 1794 il quadro non compare nel catalogo della sua collezione. E’ noto in base alla corrispondenza epistolare che Girolamo Manfrin era in contatto con il mercante d’arte bolognese Giovanni Maria Sasso (1735 ca - 1803) che lo consigliava in merito ai quadri appartenenti a collezioni private bolognesi che egli avrebbe potuto acquistare. Il dipinto in oggetto è incluso nell'inventario delle collezioni del 1872 redatto da Nicoletti, e vi è descritto come ‘Gio. Francesco Barbieri, detto il Guercino da Cento: Rinaldo che trattiene il braccio ad Armida, mentre questa sta per trafiggersi il seno denudato con un dardo. Mezze figure grandi al vero’. La celebre collezione Manfrin si trovava a Palazzo Priuli Manfrin a Cannaregio, Venezia, e conteneva capolavori di Tiziano, Giorgione, Jacopo Bassano e Tintoretto. Girolamo Manfrin fu descritto dal mercante d’arte Giovanni Antonio Armano come ‘l’unico che spenda in belle arti a Venezia’ (8). Manfrin fece fortuna commerciando tabacco e fu nominato marchese da Pio VII nel 1801. Nel 1788 acquistò il palazzo veneziano della famiglia Priuli per alloggiarvi la sua crescente collezione d’arte, ed inaugurò una galleria che nel 1806 Moschini così descriveva: ’dè più sperti pennelli, incominciando dà pittori primi ed a nostri giorni discendendo; ed era di lui pensiero, se la morte non lo avesse troppo presto mietuto, di offerire di mano in mano tele de diversi tempi e delle diverse scuole, perchè vi si potessero a un colpo d’occhio riconoscere gli scapiti e i vantaggi, che nelle varie età, ebbe quest’arte’ (9). Nel 1897 il mercante d’arte Giulio Sambon organizzò un’asta a Milano per vendere parte della collezione Manfrin. Il dipinto fa parte del catalogo della vendita come Guercino ‘Rinaldo trattiene il braccio ad Armida mentre questa sta per trafiggersi con un dardo’ (10).

(1) P. Bagni, Guercino a Cento, Le decorazioni di Casa Pannini, Bologna, 1984, p. 164, fig. 129. Per un dibattito generale della decorazione di questa camera, vedi pp. 141 e sgg. (2). B. Ghelfi, Il libro dei conti del Guercino, 1629–1666, Bologna, 1997, p. 197, no. 587. (3) C. C. Malvasia, Felsina Pittrice, Vite dei Pittori Bolognesi, Bologna, 1841, II, p. 272. (4) Malvasia, 1841, II, p. 271 ricorda che nel novembre del 1661 il pittore: ‘fu sovrapreso da un grandissimo mal di punta, che stette quasi per morire, ma con l’aiuto di molte cavate di sangue si riebbe” (5) L. Salerno, I dipinti del Guercino, Roma, 1988, p. 402, no. 342. (6) Oxford: Christ Church Picture Gallery: inv. no. 0578; penna e inchiostro marrone. 235 x 192 (J. Byam Shaw, Drawings by Old Masters at Christ Church, Oxford, Oxford, 1976, I, p. 261, repr. II, fig. 602). Cfr. inoltre D. Mahon, a cura di, Guercino, Poesia e Sentimento nella Pittura del ‘600, catalogo della mostra, Palazzo Reale, Milano, settembre 2003 - gennaio 2004, p. 236, al no. 78. (7) P. Bagni, Disegni emiliani dei secoli XVII ? XVIII della Pinacoteca di Brera, a cura di Daniele Pescarmona, Milano 1995, no. 24, p. 109, inv. no.15; gessetto rosso; mm 200 x 245. (8) L. Borean, Il caso Manfrin in Il collezionismo d’arte a Venezia. Il Settecento, a cura di L. Borean e S. Mason, Venezia 2009, pp. 193–216. (9) G. Moschini, Della letteratura veneziana del secolo XVIII fino ai nostri giorni, Venezia 1806–1808, vol. 2, 1806, p. 107. (10) Catalogo della Galleria Manfrin. Quadri di celebri autori italiani e olandesi, Milano 1897 (Sale Giulio Sambon, Milano, come Guercino), p. 27 n. 38.

Provenienza: Ugucione (Odoccione) Pepoli, 1664; collezione Girolamo Manfrin, Venezia, ca. 1795–1897; venduto all’asta: Giulio Sambone, Milano 1897; collezione privata europea, Bibliografia: G. Nicoletti, Pinacoteca Manfrin a Venezia, Venezia 1872, p.

Esperto: Mark MacDonnell Mark MacDonnell
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Asta: Dipinti antichi
Tipo d'asta: Asta in sala
Data: 21.04.2010 - 18:00
Luogo dell'asta: Vienna | Palais Dorotheum
Esposizione: 10.04. - 21.04.2010


** Prezzo d'acquisto comprensivo di tassa di vendita e IVA

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